Intervista a Lejla Valerii, Psicologa, Istituto Zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”. (http://it.health.yahoo.net/c_special.asp?id=19114&s=2&c=26)
Pet therapy è un’espressione che può generare confusione… Si tratta di una terapia alternativa ad altri rimedi terapeutici?
Per non avere una confusione a livello di definizione sarebbe meglio non usare il termine pet therapy, ossia terapia con gli animali, perché in realtà questa spiegazione è un po’ obsoleta. Risale infatti agli anni ‘50 quando si è iniziato a parlare di quanto gli animali potessero aiutare e influenzare la guarigione di persone con disabilità. Da allora di tempo ne è passato ed è già da qualche anno che si comincia a parlare di attività o di terapie assistite dagli animali o di educazione assistita dagli animali. Questa “rigidità” di definizione nasce per riuscire ad indicare meglio quello che questi nomi vanno ad indicare perché se si parla di pet therapy si parla di tutto e si parla di niente.
È importante riuscire a dare una definizione specifica perché si parla di interventi terapeutici cioè finalizzati al miglioramento o alla guarigione di determinate aree fisiche/psicologiche che sono state comunque valutate e selezionate con indagini di tipo clinico.
Negli ultimi anni la pet therapy si è ampiamente diffusa in Europa e, anche se a rilento, sta facendosi strada in Italia. Ha trovato difficoltà a lavorare con questo metodo e ad applicarlo?
Le cose stanno cambiando… è ovvio che all’interno dell’Istituto Zooprofilattico quando hanno cominciato a parlare di attività e di terapie assistite dagli animali c’erano degli ambienti medici in cui questo tipo di programmi non erano i benvenuti. La questione nel corso degli anni si è modificata perché ci sono state più possibilità di riuscire a dimostrare i benefici di questi tipi di interventi terapeutici. Tra le altre cose negli ultimi anni anche qui in Istituto sono arrivati dei bambini con autismo le cui famiglie avevano avuto delle indicazioni a sottoporsi a terapie assistite dagli animali da parte dei loro neuropsichiatri infantili. Quindi come per tutte le cose “nuove” c’è la necessità di un tempo affinché la cosa sia comunque accettata, digerita. Diciamo che noi nel nostro territorio riusciamo a lavorare bene con l’ambiente medico.
Cosa fare per partecipare ad un programma di pet therapy?
Ci sono varie iniziative in Italia, ma non mi sento di fare nomi in particolare. Il consiglio che posso dare è che per chiunque voglia fare questo tipo di attività o terapia assistita dagli animali bisogna comunque andare nella struttura più vicina, rivolgersi a chi eroga questo tipo di terapia. Essendo una terapia medica i primi passi da fare sono identici a tutti quelli che si fanno per tutti gli altri tipi di terapia. Quindi ci devono essere dei colloqui iniziali e una valutazione di tutto quello che è stato detto e fatto fino a quel momento. È importantissimo che ci sia una condivisione del lavoro che il gruppo vuole fare con il cliente (se è possibile, altrimenti con i familiari). La famiglia, con l’aiuto del medico, deve valutare come si pone il tipo di lavoro fin dall’inizio, perché se la terapia significa far andare le persona nella struttura e iniziare da subito a fare tutta una serie di incontri senza che vi sia condivisione con i familiari, degli obiettivi, ecc., questo è già un modo per differenziare chi lavora secondo certi standard e chi no.
Ho aggiunto le risposte di questa psicologa esperta perchè credo che metta un pò di ordine ai dubbi che magari ognuno di noi ha; a me sono servite per capire meglio questo mondo...spero siano servite anche a voi...
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